“L’Arminiuta”, di Donatella di Pietrantonio

“Non l’ho chiamata, per anni. Da quando le sono stata restituita, la parola mamma si è annidata nella mia gola come un rospo che non è più saltato fuori. Se dovevo rivolgermi a lei con urgenza, cercavo di catturarne l’attenzione in modi diversi.”

L’Arminuta, cioè “la ritornata”, racconta la storia di una ragazzina che, dopo aver trascorso l’infanzia presso la casa di due parenti che considerava i propri genitori, viene restituita alla vera famiglia d’origine.
La piccola protagonista tredicenne si ritrova catapultata in un ambiente molto diverso da quello a cui era abituata: mentre i genitori adottivi erano agiati, la famiglia nativa è povera e numerosa, i bambini sono sporchi, il cibo scarseggia e i parenti sono ignoranti e rozzi.
Tra i fratelli maschi, l’Arminiuta riesce ad instaurare un buon rapporto solo con Vincenzo, che la guarda come se fosse già una donna, e con il piccolo Giuseppe, che soffre di un ritardo mentale.
Con Adriana, l’unica sorella, si crea fin da subito un rapporto speciale: Adriana è entusiasta dell’arrivo di una nuova sorella maggiore e si impegna a difenderla dalle percosse dei familiari e dalle prese in giro dei compagni, riconoscendo il suo essere diversa e speciale e vedendola come una ragazzina delicata e colta da proteggere dalla volgarità e dall’inciviltà del paese.

Lo stile della Di Pietrantonio è semplice ma allo stesso tempo elegante: maneggia con cura le parole, leviga le frasi e descrive, con garbo, anche la quotidianità più sgraziata
Descrive con raffinatezza la sofferenza di una giovane ragazza che non ha un posto nel mondo: sono presenti due madri ma in realtà la protagonista non ne sente davvero sua nessuna, poiché da una è stata abbandonata a tredici anni e dall’altra quando era ancora neonata.

“Ero l’Arminiuta, la ritornata. Parlavo un’altra lingua e non sapevo più a chi appartenere. Invidiavo le compagne di scuola del paese e persino Adriana, per la certezza delle loro madri.”

Tutto ciò che credeva di avere, e soprattutto di essere, le è stato brutalmente portato via. Ma, e qui si trova la forza del romanzo e della protagonista, nonostante il dolore l’Arminiuta riesce a mantenersi a galla: è in grado di continuare a splendere nella sua diversità, di mostrarsi per quella che è anche in un paese rozzo che non le appartiene, brilla come un diamante in mezzo al carbone.
L’amicizia e il rapporto con la sorella Adriana è uno dei punti più edificanti del romanzo: il loro volersi bene emana una tenerezza che si manifesta nei piccoli gesti, come dormire nello stesso letto “piede contro guancia”.

“Mia sorella. Come un fiore improbabile, cresciuto su un piccolo grumo di terra attaccata alla roccia. Da lei ho appreso la resistenza. Ora ci somigliamo meno nei tratti, ma è lo stesso il senso che troviamo in questo essere gettate nel mondo. Nella complicità ci siamo salvate.”

Si instaura, fin dal primo sguardo,un profondo affetto che le legherà per tutta la vita: promettono di restare sempre l’una accanto dell’altra e di proteggersi a vicenda.
Adriana, così spontanea e schietta, è stata allevata senza particolare attenzione dai genitori, semplice e rozza, contrasta con i modi educati e ricercati della sorella, ma forse è proprio questa diversità a rendere il loro rapporto ancora più saldo.
Le due ragazzine si completano: l’una è ciò di cui l’altra ha bisogno per andare avanti in quel delicato e difficile percorso che è la vita.


“Da lontano lei si preoccupava più di me che della sua malattia, non smettevo di crederci. Eppure in certe ore tristi mi sentivo dimenticata. Cadevo dai suoi pensieri. Non c’era più ragione di esistere al mondo. Ripetevo piano la parola mamma cento volte, finché perdeva ogni senso ed era solo una ginnastica delle labbra. Restavo orfana di due madri viventi. Una mi aveva ceduta con il suo latte ancora sulla lingua, l’altra mi aveva restituita a tredici anni. Ero figlia di separazioni, parentele false o taciute, distanze. Non sapevo più da chi provenivo. In fondo non lo so neanche adesso.” 


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