“Mi sa che fuori è primavera”, di Concita De Gregorio

Mi sa che fuori è primavera è incentrato su un doloroso fatto di cronaca realmente accaduto nel 2011.
Irina Lucidi vive a Losanna, è un avvocato di fama internazionale e ha sposato il collega Mathias dopo essere rimasta incinta di due gemelle.
Mathias è un uomo freddo e composto, maniaco del controllo, privo di compassione, riempie la casa di post-it in cui impartisce ordini e istruzioni alla moglie ed è contrariato se lei non li rispetta.
Ben presto Irina, frustrata dai continui comportamenti dispotici del marito e dalla sua rigidità, decide di chiedere la separazione.
Dopo le vacanze di Natale trascorse insieme alle figlie, Mathias rapisce le bambine e dopo cinque giorni di viaggio dalla Svizzera alla Puglia si suicida facendosi travolgere da un treno.
Delle bambine non c’è nessuna traccia, rimane solo un biglietto di Mathias “le bambine non hanno sofferto, non le vedrai mai più”.

“Dopo che Alessia e Livia se ne sono andate, semplicemente, sono sparita anche io.”

Le pagine di questo libro sono impregnate del dolore di una madre a cui sono state sottratte le proprie figlie.
Ogni parola è quella di una donna sofferente che, stremata dal senso di perdita, ha deciso, nonostante tutto, di ricordare e di affidarsi al potere terapeutico della scrittura.


“Ma io sono viva nonna, il dolore da solo non uccide e io sono viva. Dunque devo vivere, perché finché ci sono ci sarà il ricordo di chi non è più con noi. Vivo, il ricordo: vive loro nei pensieri.”

“Si ha nostalgia delle persone, non delle categorie. Di tua nonna, proprio lei, non delle nonne. Di tuo padre, non di un padre. Alessia e Livia non sono bambine: sono Alessia e Livia. Non mi mancano i figli: mi mancano loro. L’assenza è una presenza costante: ti sfida in un corpo a corpo quotidiano, ti assedia.”


Un tema fondamentale trattato dalla De Gregorio è “l’assenza che pesa”, la mancanza delle bambine che riecheggia in ogni angolo della vita di Irina.
L’assenza delle figlie diventa giorno dopo giorno una presenza tangibile, il fardello della nostalgia diventa un sentimento con il quale bisogna convivere, il vuoto diventa una sensazione concreta con cui Irina deve fare i conti.
Quando uno sconosciuto, magari conosciuto in treno, chiacchierando per far trascorrere il tempo, le chiederà “lei ha figli?” cosa potrà rispondere Irina? Non esiste neppure una parola in italiano per definire la sua situazione di madre privata dei figli, di donna a cui sono state strappate le proprie bambine.
Ed è ancora più angosciante dover sopportare il limbo dell’incertezza, perché quei corpicini non sono stati trovati e la tentazione di aggrapparsi al flebile filo della speranza è molto forte, anche dopo anni di silenzio.

Ho apprezzato la sensibilità con cui l’autrice presenta il dolore più grande per un essere umano: sopravvivere ai propri figli, dover andare avanti quando si è stati privati di una parte di sè.
Le stanze piene di risate infantili ora vuote, gli abbracci, i baci e le carezze sono rimaste un ricordo, le voci delle bambine invadono la mente di Irina che invece di sprofondare nel lutto decide di reagire.
Irina è una donna forte e un avvocato di successo, è intraprendente, viaggia, fonda un’associazione per dare voce a chi non viene ascoltato e infine racconta la sua storia a Concita chiedendole di tramutarla in parole scritte.
E infatti, oltre a tutto il dolore e alla sofferenza, il libro mostra questa forza e prospetta uno spiraglio di luce: Irina, durante un viaggio solitario per rimettere in piedi la propria vita, ha incontrato Luis e si è innamorata.
Irina può continuare a vivere, ricordando e tenendo una camera della nuova casa sempre pronta per Alessia e Livia, ma può sorridere ancora. Se ne concede il permesso senza sentirsi in colpa.
Decide di non lasciarsi morire, di rimanere viva per le sue bambine, non permette a Mathias di annientarla neppure dopo il suo gesto estremo.
Irina guarda in faccia il dolore e lo affronta.

“Eppure non può esistere un regalo più bello, no? da fare una persona che ami. Come diceva Marco a Susanna: un anello, così ti ricordi che siamo fidanzati. Che sta sempre con te, sul tuo corpo, che lo circonda e lo tiene, lo consola e lo rincuora, che è insieme un segreto e una vetrina. Un impegno, una promessa. È l’unica cosa da regalare quando si ama, no? Non c’è altro. Non può esistere altro. Un anello.”


“Todo cuadra. Questa formula, tutto è al suo posto. Ma non si può tanto tradurre. Tutto è proprio come deve essere. Non c’è da ostinarsi a spostare i pezzi. Bisogna solo osservarlo muovere, vedere dove vanno. Questo siamo: spettatori attivi nel teatro dell’universo. È uno spettacolo, realmente, la vita. Todo cuadra.”


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