“Se i pesci guardassero le stelle”, di Luca Ammirati

«Non puoi spegnere il cielo, Samuele. I sogni non si comprano, si vincono con la determinazione e il coraggio di non lasciar perdere. Non smettere di crederci. Combatti per ciò che porti nel cuore. Perché tutto quello che resta, alla fine, è l’adorabile disordine della vita.»

Questo periodo di quarantena aveva spento ogni luce intorno a me. Nonostante il mio lavoro nell’agricoltura, che non poteva fermarsi, tutto mi sembrava avvolto dalle tenebre dell’oblio.

Sono stati giorni surreali in cui nulla sembrava normale, nemmeno il cielo ricordava le albe che nascevano appena un mese fa. Le notti buie, sempre di più, iniziavano a farmi paura. Mi sono rannicchiata nel silenzio e condividere libri mi sembrava inutile, come se non ce ne fosse bisogno.

Non riuscivo a leggere e poi, per caso, ho incontrato questo libro, capitato inaspettatamente come le cose più belle, e l’ho divorato in una notte.


“Come si vive dentro i nostri sogni senza farsi troppo male? Come si combatte contro questo mondo che andrebbe rifatto da capo?”

“Se i pesci guardassero le stelle” è l’inno alla speranza di cui, mai come ora, abbiamo così tanto bisogno. Mi ha catturato nella sua semplicità e nella sua purezza d’animo tanto da non farmi staccare gli occhi dalle pagine.

Perché é facile sorridere quando abbiamo tutto, molto meno quando siamo nel baratro dell’incertezza.

Il libro racconta la storia di Samuele, un giovane trentenne sognatore che sta ancora cercando di scoprire la sua essenza e di realizzare i suoi progetti per il futuro. Appassionato della comunicazione pubblicitaria, si divide tra un lavoro malpagato per un giornale locale e una passione per l’Osservatorio di Perinaldo, dove accoglie turisti e curiosi spiegando e mostrando la meraviglia delle stelle. In una notte speciale, quella di San Lorenzo, incontra la bella Emma dagli occhi enigmatici, le racconta delle stelle, se ne innamora, cucina per lei e poi si addormenta, perdendone le tracce. Nel corso del libro Samuele proverà a cercare la ragazza e soprattutto se stesso, aiutato dal piccolo pesciolino rosso Leo, simbolo della capacità di ascolto, ormai rara.

“Ma come si fa a non sognare? Anche sapendo che i sogni sono irrealizzabili, che non li vedremo concretizzati, che potrebbero rubarceli o addirittura spegnerli sul nascere… Io non voglio consegnarli a questa gente senz’anima, sospesa nel limbo di chi non sta né bene né male.”
 
“Come si fa a rinunciare a quelle piccole illusioni che ci spingono a pensare che un bel giorno sì, ce la faremo? Che riescono a farci sorridere anche quando vorremmo solo piangere?
Dimmelo, Leo.
Come si fa a smettere di sognare”

La prosa di questo romanzo mi ha ricordato quella di Haruf ne “Le nostre anime di notte”, delicata e dolce, in cui ogni parola sembra scelta accuratamente e, leggiadra, pare svolazzare sopra il lettore. 

Il protagonista Samuele mi ricorda uno di quei bambini teneri e pasticcioni che a scuola vengono chiamati per ultimi nelle squadre per giocare a pallone; mi sembra uno di quei ragazzi con la testa fra le nuvole che non sta attento non per mancanza di voglia ma perché ha tanti sogni da inseguire, progetti e speranze nascosti. Uno che non viene mai scelto ma che aspetta pazientemente qualcuno che lo scelga e soprattutto, che lo ami.

Mi è piaciuta molto la rappresentazione dei luoghi, sembra proprio di avere davanti agli occhi ‘il dedalo di carugi’ di Perinaldo e la Pigna di Sanremo, si sentono i profumi e gli odori delle vie strette e della pietra.

Me lo vedo Samuele a sfrecciare con la sua bicicletta, in ritardo, con la testa imbrigliata nei suoi pensieri. Mi sembra una creatura rara, poche persone sono come lui, pochi hanno la fortuna di avere una gentilezza d’animo che spesso passa per ingenuità. 

Lo definirei un libro di immagini delicate e odori forti: si vedono davvero le stelle e si sente il profumo della focaccia appena sfornata della vicina ottantenne, la signora Verrando.

E poi Emma, con la sua ombra negli occhi, mi è entrata nel cuore dal primo istante perché abbiamo tutti un po’ di Emma dentro. Un passato doloroso, un trauma irrisolto, ognuno ha un velo scuro addosso.

Emma è la nostra parte ferita, quella disillusa che non sopporta tutta la speranza di Samuele perché lei non riesce a provarla, un po’ come noi quando stiamo male non riusciamo a sopportare la felicità delle persone che ci circondano.

“Le domande rimangono inascoltate. Cos’è che mi manca?”

“La mia oasi di poesia e pace. Uno di quei rari luoghi in cui riesco a convincermi che tutto andrà bene, qualunque cosa accadrà.”



“Ci affanniamo a girare a vuoto, assillati da mille preoccupazioni e cronica mancanza di tempo. Tempo per pensare alle cose che contano davvero, tempo per essere felici e dare il giusto valore a questa cosa complicata che è l’esistenza. Pensiamo di controllare tutto, e invece siamo impotenti, strappati a metà tra le poche cose che ci piace fare e le tante che dobbiamo fare.

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